Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso per mandato ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici ha il proprio domicilio in Roma, via dei Portoghesi 12, ricorrente; Contro la Provincia autonoma di Bolzano-Alto Adige, in persona del presidente della giunta provinciale attualmente in carica, resistente; per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma 2, della legge provinciale 3 ottobre 2005 n. 8, pubblicata sul BU n. 42 del 18 ottobre 2005, recante «Modifiche di leggi provinciali in materia di lavori pubblici, viabilita' industria, commercio, artigianato, esercizi pubblici e turismo e altre disposizioni», con il quale si sono introdotte modifiche alla legge provinciale 17 giugno 1998 n. 6 in materia di appalto ed esecuzione di lavori pubblici; dell'articolo 5, commi 2, 3 e 4 della stessa legge provinciale 3 ottobre 2005 n. 8, pubblicata sul BU n. 42 del 18 ottobre 2005, recante «Modifiche di leggi provinciali in materia di lavori pubblici, viabilita' industria, commercio, artigianato, esercizi pubblici e turismo e altre disposizioni», con il quale si sono introdotte modifiche alla legge provinciale 16 febbraio 1981 n. 3 intitolata «Ordinamento dell'artigianato e della formazione professionale artigiana». Nell'esercizio della propria competenza legislativa esclusiva la Provincia autonoma di Bolzano ha emanato in data 3 ottobre 2005 una legge omnibus con la quale sono state introdotte modificazioni a piu' leggi provinciali vigenti in materie diverse. Due di queste nuove norme intervengono l'una in materia di lavori pubblici e l'altra in materia di disciplina della professione artigiana, con contenuti che il Governo ritiene essere incompatibili con i precetti costituzionali e statutari in tema di riparto della competenza legislativa, per le ragioni che rispettivamente di seguito si enunciano. 1) Art. 1, comma 3, della legge 3 ottobre 2005, n. 8. La materia dei lavori pubblici e' regolata sul territorio provinciale dalla legge provinciale 17 giugno 1998 n. 6, che detta una disciplina completa ed esaustiva di tutte le fasi del processo realizzativo di un'opera pubblica, dalla progettazione all'affidamento fino a comprendere l'esecuzione ed il collaudo. In particolare, l'art. 66 nel testo in vigore prima della novella gia' si occupava della revisione prezzi, ma dettava sul punto una disciplina assolutamente uguale a quella contenuta nella legge quadro dello Stato (legge 11 febbraio 1994 n. 109, art. 26) che, appunto, esclude in radice la possibilita' di applicare la revisione prezzi nel contratto di appalto di lavori pubblici, ma solo consente l'istituto del c.d. «prezzo chiuso» la cui operativita' e' subordinata all'avverarsi di determinati presupposti. Ora, il nuovo testo dell'art. 66 della legge provinciale in materia di lavori pubblici, come introdotto dalla recente legge provinciale n. 8/2005, inopinatamente reintroduce la revisione prezzi quale meccanismo di adeguamento del corrispettivo di appalto. Recita infatti la nuova norma: «Qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d'opera tali da determinare un aumento o una diminuzione superiore al decimo del prezzo complessivo convenuto ovvero superiore ad un quinto del prezzo per categoria di lavori convenuto, l'appaltatore interessato o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo. La revisione puo' essere accordata a fine lavori solo per quella differenza che eccede il decimo». La disposizione della legge provinciale ora testualmente riportata riproduce in tutto e per tutto il contenuto del primo comma dell'art. 1664 del codice civile, che da sempre storicamente e' stato considerato il precetto generale di diritto privato cui corrisponde l'istituto della revisione prezzi nel diritto speciale dell'appalto di lavori pubblici. Cio' nel senso che comunemente non si ritiene applicabile all'appalto di lavori pubblici la norma civilistica generale in quanto la medesima materia trova disciplina speciale corrispondente nelle norme sulla revisione dei prezzi. Sennonche', appunto, la norma provinciale interviene a disciplinare un aspetto dell'esecuzione del contratto (la determinazione del corrispettivo d'appalto) che appartiene al diritto civile, ancorche' speciale, e quindi invade la competenza esclusiva dello Stato. Ai sensi dell'art. 8 dello Statuto di autonomia della Regione Trentino-Alto Adige, la Provincia di Bolzano ha competenza legislativa propria in materia di lavori pubblici di interesse provinciale, competenza tuttavia da esercitarsi in armonia con la Costituzione e nel rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica. Orbene, ai sensi dell'art. 117, comma 2, della Costituzione, lo Stato ha conservato la competenza esclusiva ad emanare leggi in materia di ordinamento civile. Ne consegue che il precetto costituzionale e' in questo caso senz'altro leso, in quanto regolare l'appalto di lavori pubblici intervenendo sulla disciplina del corrispettivo dell'appaltatore, con la previsione di un meccanismo di adeguamento dello stesso in funzione del variare dei costi nel tempo dell'esecuzione, costituisce senza alcun dubbio esercizio del potere normativo in merito alla disciplina del contratto e del suo adempimento, cioe' in merito ad un aspetto tutt'altro che secondario della disciplina civilistica del rapporto. Anzi, secondo quanto la dottrina piu' volte ha affermato, il prezzo e' elemento essenziale del contratto di appalto di lavori pubblici. Disciplina che e' e non puo' che essere nella esclusiva ed inderogabile signoria dello Stato, in quanto non si puo' ammettere che uno stesso contratto riceva una regolamentazione significativamente diversa nei suoi elementi essenziali, a seconda della regione nel cui territorio viene stipulato. Disciplina che lo Stato ha puntualmente regolato con l'art. 26 della legge 11 febbraio 1994 n. 109, che espressamente esclude per i lavori pubblici l'applicazione del primo comma dell'art. 1664 del codice civile, ed espressamente vieta che si proceda alla revisione dei prezzi. Ma vi e' di piu'. Dopo aver costituito un dato costante nell'esperienza normativa ed applicativa dei lavori pubblici nazionali, prima semplicemente facoltativa e poi inderogabilmente obbligatoria a partire dal 1974, la revisione dei prezzi e' stata del tutto espunta dall'ordinamento dall'art. 3 del decreto-legge n. 333/1992, con il quale e' stato fatto espresso divieto alle stazioni appaltanti pubbliche di introdurre nei contratti di appalto clausole che la prevedessero. L'abrogazione dell'istituto della revisione prezzi ha costituito una dichiarata misura di finanza pubblica tesa al permanente e definitivo controllo in via generale della spesa. E cosi' la riaffermazione del principio della invariabilita' del corrispettivo dell'appalto di opera pubblica deve intendersi attuata dal legislatore nazionale come norma fondamentale di riforma economica e finanziaria, che da un lato orienta le amministrazioni a considerare nel prezzo del contratto il tempo di esecuzione come un elemento di certezza, dall'altro impone alle imprese esecutrici una formulazione delle offerte nelle gare pubbliche che tenga conto della dinamica dei costi in funzione dell'andamento dei tempi, come precisa assunzione del rischio di impresa. In tale prospettiva, non puo' essere ammessa una normativa regionale o provinciale che, seppure in un ambito di marcata autonomia legislativa, abbia l'effetto di rompere un rigoroso limite di finanza pubblica generale introducendo nel sistema un vulnus privo della benche' minima giustificazione di interesse locale. Dunque, la denunziata norma si pone in contrasto tanto con la norma di cui all'art. 8 dello Statuto speciale che limita nel modo visto la potesta' legislativa della provincia, quanto con la norma di cui all'art. 117 della Costituzione che riserva allo Stato la potesta' legislativa nella materia dei rapporti di diritto civile. E pertanto, essa norma deve essere dichiarata incostituzionale. 2) Art. 5, commi 2, 3 e 4, della legge 3 ottobre 2005, n. 8. Le disposizioni contenute nell'art. 5, comma 2, della legge provmciale qui denunziata, consentono l'esercizio della professione di odontotecnico anche ad una figura professionale particolare, il maestro odontotecnico, che consegua tale titolo mediante il superamento di un apposito esame istituito e regolamentato su scala provinciale. Il comma 3 dello stesso articolo individua poi i requisiti per l'accesso alla prova d'esame, mentre il comma 4 rimette ad una successiva deliberazione della giunta provinciale la definizione delle modalita' di svolgimento della prova stessa, nonche' la composizione della commissione esaminatrice. Tali disposizioni, per un verso eccedono dai limiti della competenza legislativa concorrente che spetta alla provincia in materia di sanita' come fissati dall'art. 9 dello Statuto speciale di autonomia di cui al d.P.R. n. 670/1972, e per altro verso dalla competenza legislativa concorrente attribuita in materia di professioni alle regioni a statuto ordinario dall'art. 117, comma 3, della Costituzione ed estesa, quale forma di autonomia piu' ampia alla Provincia autonoma di Bolzano ai sensi dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3/2001, in assenza di specifica disposizione statutaria. La disposizione qui censurata si pone altresi' in contrasto con la potesta' legislativa esclusiva attribuita allo Stato dall'art. 33, comma 5, della Costituzione in materia di disciplina dei titoli di accesso alle professioni e delle prove dell'esame di stato previsti per l'abilitazione all' esercizio professionale. Nella materia delle professioni, infatti, come piu' volte affermato dalla Corte costituzionale (v. Corte cost. sentenze nn. 319, 355, 405, 424 del 2005, e sentenza n. 353/2003) la potesta' legislativa regionale deve rispettare il principio fondamentale, gia' vigente nella legislazione statale (art. 6, comma 3, del decreto legislativo n. 502/1992 e art. 124, comma 1 lettera b), del decreto legislativo n. 112/1998) secondo cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, nonche' l'istituzione di nuovi albi sono riservate allo Stato. Poiche' dunque spetta allo Stato legiferare in ordine all'individuazione delle varie professioni e dei loro contenuti nonche' in ordine alla fissazione dei titoli richiesti per l'accesso ai relativi profili professionali (v. Cons. Stato, parere n. 1 dell' 11 aprile 2002), tale limite preclude alle regioni e alle province autonome di intervenire in ambiti di potesta' concorrente quale quello in esame, nel modo e con la rilevanza di cui alle norme qui censurate. Anche queste ultime dunque sono da dichiararsi incostituzionali.